Cespugli e caminetti

Cespugli e caminetti

Mi guardo intorno e vedo che spesso le persone restano ferite per situazioni che molti altri archivierebbero come cose da poco conto. Quando ci si aspetta che l’altro, un altro per noi importante, ci sia, ci sostenga, tenga fede ad un nostro segreto, e ciò non accade, ecco che arriva l’amaro boccone della delusione e la sensazione di essere stati traditi.

Il tradimento è spesso associato alle relazioni sentimentali, ma nella vita possiamo sperimentarlo in qualsiasi ambito: può accadere con un familiare, un amico, un collega o chiunque altro con cui si sia creato un rapporto di fiducia.

Da bambini è normale, anzi auspicabile, che ci sia una totale fiducia nei confronti degli adulti che si occupano di loro e/o nei confronti del mondo. Senza quella fiducia non può neanche esserci l’esplorazione di ciò che lo circonda, per scoprire chi sono e dove sono. Poi crescendo, ci si imbatte in attriti, scontri, delusioni e ognuno a modo suo impara a stare nel mondo e prendere le misure per vivere ed evitare altri dolori.

Le reazioni sono varie e diverse per ognuno, anche in base al periodo che si attraversa: a volte si sarà disposti a cercare un confronto costruttivo, altre più inclini a meditar vendetta, o a ispessire la corazza che apparentemente ci separa dagli altri, coltivando un cinismo per cui nulla al mondo vale la nostra fiducia o, peggio ancora, cercando di negare anche a se stessi il valore dei legami con altri esseri umani. L’amore, l’amicizia, la lealtà diventano solo illusioni e ogni personale esperienza perde toni più elevati: meglio restare coi piedi ben piantati per terra, per non soffrire di nuovo. Se questo può sembrare rassicurante, da un altro lato impedisce di guardare il mondo da altre prospettive e volare via dal dolore stagnante.

Altre due possibili soluzioni possono essere negare quanto è accaduto cercando di far quadrare ugualmente qualcosa che tanto quadrato non è più, e costruire rapporti apparentemente perfetti in cui tutto deve essere preciso e calcolato, controllato. Peccato che tra esseri umani, più si controlla, meno spazio resta per le emozioni e la condivisione spontanea del proprio vissuto, vero tesoro delle relazioni.

Ma quindi, non c’è niente da fare? Il tradimento e la delusione delle aspettative sono del tutto negativi? Si può solo cercare di sopravvivere nonostante tutto?

E’ umano e fisiologico restare scottati lì per lì, isolarsi e cercare un cespuglio in cui leccarsi le ferite, il problema sta nel restare impigliati in questa prima reazione.

Può servire chiarirsi con chi ha tradito? Ma chi è disposto ad ascoltare le ragioni di chi lo ha ferito? E siamo sicuri che tradito e traditore riuscirebbero a parlare la stessa lingua? E’ possibile che ciò che è fondamentale per uno sia assolutamente inutile per un altro, e che una situazione che muove le corde interiori di uno, passi del tutto inosservata all’altro, suscitando ulteriore sconforto nel tradito e fastidio nel traditore, che deve continuare a motivare scelte per lui innocue.

C’è un altro modo per affrontare tutto: ANDARE OLTRE, senza restare ancorati alle razionalizzazioni o alle emozioni negative. Non è un perdonare o un far finta di nulla. Non vuol dire non affrontare e lasciar perdere ‘perché tanto non c’è niente da fare’, anzi. Vuol dire passare attraverso quella sofferenza, capire cosa è accaduto e dove si è creata la ferita, guardarla bene, toccarla e usarla come trampolino per continuare a crescere.

Non c’è buonismo in tutto ciò, è solo una strategia più funzionale che permette di non avvelenarsi la vita. Quando il veleno continua a covare dentro, l’unico effetto è di avvelenare la vita che lo contiene.

E non è tutto. Col tradimento si esce dall’illusione e si entra nella realtà, si esce dall’infanzia incantata, dall’eden ultraterreno, dal mondo perfetto in cui non può accedere nulla di male, e si entra nel mondo degli esseri umani, esposti alla sofferenza solo perché finalmente capaci di sentire emozioni e sentirsi legati agli altri.

Ci si nasconde nel cespuglio per leccarsi le ferite, ma se ne può uscire guariti ed usare i rami secchi dell’esperienza passata come legna da ardere, per scaldare ed illuminare nuovamente il sentiero della vita.

Bigliografia
J. Hillman, Puer Aeternus, 1964, Edizioni Adelphi

Figli: dov’e’ il libretto delle istruzioni?

Figli: dov’e’ il libretto delle istruzioni?

Sono una psicoterapeuta, ma anche una mamma e spesso mi capita, tra il giardino di scuola e varie chattate con altri genitori che mi chiedono consigli, dritte e bibliografia ad hoc. Di solito non mi tiro indietro, ma nelle ultime settimane mi sono chiesta se dare consigli direttivi non sia un’arma a doppio taglio. Intendiamoci, apparentemente ci si può sentire
sollevati nell’avere una soluzione già pronta, ma poi?
Vediamo i due scenari:
– Il consiglio risolve misticamente il problema (molto difficile, a meno che non svisceriamo e ribaltiamo la situazione da ogni punto di vista, anche il più improbabile), ma questa soluzione ‘facile’ che effetto fa a chi lo riceve? Indirettamente gli dico che da solo non ce la fa (‘te lo dico io come si fa’).
– Il consiglio non risolve nulla. La situazione è stata presentata bene, sotto tutte le sfaccettature? Il consiglio è stato applicato bene? Come è stato vissuto? Non è che ansie e paure sono state proiettate su una situazione normalissima?
Certi dubbi attanagliano tutti: chi più, chi meno, abbiamo tutti momenti di confusione e la sensazione di sbagliare qualcosa, ma non si sa cosa. Si cercano disperatamente strategie e istruzioni per far funzionare bene il meccanismo inceppato. E più si cerca, più crescono l’insicurezza, la sensazione di incompetenza, l’agitazione e la paura di creare danni irreparabili. Si entra in un loop perdendo la lucidità e la capacità di guardare la situazione e capire cosa fare, dire o pensare. Ultima, ma non per importanza, la sensazione deprimente di essere gli unici a non sapere come si fa, che in fondo sia facile trovare soluzioni, che le persone normali ce la fanno da sole e soprattutto che il mondo là fuori è pieno di genitori adeguati con figli adeguati (‘forse la cicogna mi ha rifilato il bambino sbagliato, o forse sono io il genitore sbagliato’). Ma non è così.
Adesso l’età in cui si hanno bambini si è spostata e quando arrivano i figli si hanno più certezze, più schemi mentali. Si ha un’idea chiara di sé ed è forte la paura di sbagliare ed esser criticati.
Anche quando si chiede un consiglio, lo si fa in modo ambivalente: ho un problema, sto sbagliando qualcosa, datemi nuove prospettive…ma non sono pronto del tutto ad accettare ciò che gli altri hanno da dire. Molto probabilmente farò qualcosa, se lo farò, nel modo sbagliato. In realtà chiedendo un parere spesso si cerca una conferma a ciò che abbiamo già in mente, per continuare a pensare che non è colpa nostra.
D’altro canto, fare qualcosa che non sentiamo rende false le nostre azioni agli occhi dei bambini che, grandi osservatori, sanno come siamo normalmente. Se agiremo in modo diverso dal solito, senza esserne troppo convinti, i bambini saranno perplessi e si metteranno sulla difensiva, chiudendo ogni possibilità.
Allora che si fa?
Il metodo più giusto per risolvere un problema, se c’è, è valutare tutto attentamente. E poi pensare e sentire cosa accade dentro di sé. Le emozioni ci rendono umani, non sono inciampi indesiderati. Ci si può mettere nei panni del bambino e vedere, sentire, come ci si sentirebbe al posto suo, quali emozioni verrebbero fuori.
Una volta in casa abbiamo perso un telecomando. Abbiamo ribaltato casa per giorni finché non mi sono chinata (mio figlio aveva poco più di un anno) e ho guardato il mondo dalla sua prospettiva…in meno di 5 minuti, voilà! Eccolo lì, appoggiato sui libri del primo ripiano in basso della libreria! Continuando a guardare il mondo dalla prospettiva di un adulto, era assolutamente invisibile. E accade lo stesso in questo caso. Guardando il mondo coi loro occhi, all’improvviso possono emergere nessi sconosciuti.
Ma questo lo si può fare se si è ben allenati a guardare le emozioni dentro di noi, perché solo questo ci rende più sensibili e ricettivi anche verso quelle di un altro. Se occorre, è in questo che si può essere aiutati, nel guardarsi dentro per vedere cosa vien fuori.
Ogni coppia genitore-figlio è unica. Solo abbandonando le idee precostituite su come ognuno dovrebbe essere e comportarsi, e ascoltando sé e l’altro si può trovare una soluzione che calzi a pennello. Ci sono molti modi per gestire una situazione, ma solo pochi andranno bene per quel genitore e per quel figlio in quel preciso momento. E ne vale
la pena di cimentarsi, perché la fatica che si fa per capire e capirsi consente di continuare a crescere come esseri umani, a qualunque età e qualunque sia il nostro ruolo.

Bibliografia:
Bruno Bettelheim, Un genitore quasi perfetto, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1987.