Sono una psicoterapeuta, ma anche una mamma e spesso mi capita, tra il giardino di scuola e varie chattate con altri genitori che mi chiedono consigli, dritte e bibliografia ad hoc. Di solito non mi tiro indietro, ma nelle ultime settimane mi sono chiesta se dare consigli direttivi non sia un’arma a doppio taglio. Intendiamoci, apparentemente ci si può sentire
sollevati nell’avere una soluzione già pronta, ma poi?
Vediamo i due scenari:
– Il consiglio risolve misticamente il problema (molto difficile, a meno che non svisceriamo e ribaltiamo la situazione da ogni punto di vista, anche il più improbabile), ma questa soluzione ‘facile’ che effetto fa a chi lo riceve? Indirettamente gli dico che da solo non ce la fa (‘te lo dico io come si fa’).
– Il consiglio non risolve nulla. La situazione è stata presentata bene, sotto tutte le sfaccettature? Il consiglio è stato applicato bene? Come è stato vissuto? Non è che ansie e paure sono state proiettate su una situazione normalissima?
Certi dubbi attanagliano tutti: chi più, chi meno, abbiamo tutti momenti di confusione e la sensazione di sbagliare qualcosa, ma non si sa cosa. Si cercano disperatamente strategie e istruzioni per far funzionare bene il meccanismo inceppato. E più si cerca, più crescono l’insicurezza, la sensazione di incompetenza, l’agitazione e la paura di creare danni irreparabili. Si entra in un loop perdendo la lucidità e la capacità di guardare la situazione e capire cosa fare, dire o pensare. Ultima, ma non per importanza, la sensazione deprimente di essere gli unici a non sapere come si fa, che in fondo sia facile trovare soluzioni, che le persone normali ce la fanno da sole e soprattutto che il mondo là fuori è pieno di genitori adeguati con figli adeguati (‘forse la cicogna mi ha rifilato il bambino sbagliato, o forse sono io il genitore sbagliato’). Ma non è così.
Adesso l’età in cui si hanno bambini si è spostata e quando arrivano i figli si hanno più certezze, più schemi mentali. Si ha un’idea chiara di sé ed è forte la paura di sbagliare ed esser criticati.
Anche quando si chiede un consiglio, lo si fa in modo ambivalente: ho un problema, sto sbagliando qualcosa, datemi nuove prospettive…ma non sono pronto del tutto ad accettare ciò che gli altri hanno da dire. Molto probabilmente farò qualcosa, se lo farò, nel modo sbagliato. In realtà chiedendo un parere spesso si cerca una conferma a ciò che abbiamo già in mente, per continuare a pensare che non è colpa nostra.
D’altro canto, fare qualcosa che non sentiamo rende false le nostre azioni agli occhi dei bambini che, grandi osservatori, sanno come siamo normalmente. Se agiremo in modo diverso dal solito, senza esserne troppo convinti, i bambini saranno perplessi e si metteranno sulla difensiva, chiudendo ogni possibilità.
Allora che si fa?
Il metodo più giusto per risolvere un problema, se c’è, è valutare tutto attentamente. E poi pensare e sentire cosa accade dentro di sé. Le emozioni ci rendono umani, non sono inciampi indesiderati. Ci si può mettere nei panni del bambino e vedere, sentire, come ci si sentirebbe al posto suo, quali emozioni verrebbero fuori.
Una volta in casa abbiamo perso un telecomando. Abbiamo ribaltato casa per giorni finché non mi sono chinata (mio figlio aveva poco più di un anno) e ho guardato il mondo dalla sua prospettiva…in meno di 5 minuti, voilà! Eccolo lì, appoggiato sui libri del primo ripiano in basso della libreria! Continuando a guardare il mondo dalla prospettiva di un adulto, era assolutamente invisibile. E accade lo stesso in questo caso. Guardando il mondo coi loro occhi, all’improvviso possono emergere nessi sconosciuti.
Ma questo lo si può fare se si è ben allenati a guardare le emozioni dentro di noi, perché solo questo ci rende più sensibili e ricettivi anche verso quelle di un altro. Se occorre, è in questo che si può essere aiutati, nel guardarsi dentro per vedere cosa vien fuori.
Ogni coppia genitore-figlio è unica. Solo abbandonando le idee precostituite su come ognuno dovrebbe essere e comportarsi, e ascoltando sé e l’altro si può trovare una soluzione che calzi a pennello. Ci sono molti modi per gestire una situazione, ma solo pochi andranno bene per quel genitore e per quel figlio in quel preciso momento. E ne vale
la pena di cimentarsi, perché la fatica che si fa per capire e capirsi consente di continuare a crescere come esseri umani, a qualunque età e qualunque sia il nostro ruolo.
Bibliografia:
Bruno Bettelheim, Un genitore quasi perfetto, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1987.