Mesi fa ho seguito un corso di formazione professionale in cui si parlava dell’importanza del desiderio come motivazione che ci spinge verso i grandi obiettivi della nostra vita. Ho pensato che questo desiderio fosse molto in relazione con la felicità: col realizzare qualcosa, raggiungere un traguardo (anche solo riuscire a portare avanti una dieta dimagrante con successo) e di conseguenza sentirsi soddisfatti della propria vita.
Visto che l’argomento mi piaceva, mi sono messa in azione: ho deciso di scrivere un articolo sul desiderare e sulla felicità. Mi sono messa lì il primo giorno, il secondo, il terzo…. è passata qualche settimana ma niente… Non riuscivo a scrivere niente, eppure era così facile…Nella mia testa il discorso c’era, ma nel momento in cui prendevo carta e penna, ecco che spariva tutto. Ho dimenticato interi discorsi, collegamenti…tutto. Ho provato anche a registrarmi con il cellulare o ad usare convertitori automatici…niente di niente. Eppure ricordavo tante altre cose, solo sul versante ‘desiderare e felicità’ avevo il nulla appena cercavo di metterlo nero su bianco.
Piano piano ho iniziato a rimandare la stesura dell’articolo, avevo altre priorità, altre cose da fare e perfino caricare la lavatrice (e non sono proprio la massaia della porta accanto) era qualcosa di impellente che mi portava via da quel lavoro. Non capivo: eppure ho sempre avuto dei desideri. Una lunga lista di desideri semplici, leciti, ma anche più complessi e con diversi step da mettere a punto per la loro realizzazione… nulla di sconvolgente, nulla di diverso rispetto a tante altre persone.
Mi sono fermata un attimo e ho capito che c’erano delle resistenze. Questo tema, bellissimo, mi smuoveva qualcosa dentro. Ho preso in mano alcuni miei desideri… li ho guardati, valutati, giudicati (sì, ho anche emesso giudizi su di loro)… forse questi desideri non andavano bene per la mia vita, forse tutto sommato avrei dovuto accontentarmi di ciò che ho…dopotutto, che male c’è ad accontentarsi? Ma dentro di me qualcosa scalpitava… “chè, sei matta? Passi tutto il tempo a dire ai tuoi pazienti che devono guardarsi dentro, far emergere ciò che sono e vogliono realmente, e poi, proprio tu butti la spugna? Non sia mai!”
Piano piano, ho deciso di osservare ciò che accadeva, dentro e fuori di me. Volevo capire quale fosse la corda toccata da questa situazione. Non è stato semplice, ci ho messo un po’ e ne ho anche parlato con qualcuno, prendendo nota di ciò che accadeva nell’interazione e dentro di me quando provavo a parlare di un mio desiderio con altre persone.
La corda era la paura. Esprimere un desiderio fa emergere la mia paura.
La paura di restar delusa dalla mancata realizzazione di ciò che voglio.
La paura delle conseguenze operative: sarò in grado di gestire ciò che accadrà dopo? E se non sono all’altezza, se qualcosa va storto, se rovino tutto?
La paura del giudizio, di ciò che potrebbero pensare gli altri: che magari ho fatto il passo più lungo della gamba, che sono arrogante, che sono incosciente, che sono ridicola nel pensare che potrei realizzare il mio desiderio…
Tutto questo solo nel pensare ad un eventuale desiderio. Ed ho capito perché tante persone li prendono – i propri desideri – e non solo li mettono in un cassetto, ma poi questo lo chiudono a doppia mandata e buttano via la chiave.
Paradossalmente sembra che la felicità più la si cerca, meno la si trova…e ovviamente più una persona non si pone il problema sull’essere o non essere felice, migliori sono le sue possibilità di esserlo, lo dicono le ricerche. È un po’ una profezia che si auto-avvera: più cerchi di evitare che accada qualcosa, più le tue scelte, progressivamente, ti spingono verso ciò che tanto fuggi.
Mi sono chiesta cosa attivasse la mia paura. Era l’incertezza, non sapere come sarebbe andata a finire, non sapere se in caso di caduta il mio trapezista interiore avrebbe trovato una rete ad accoglierlo.
Annamaria Testa in un suo mini-saggio sull’argomento suggerisce che questo impasse si può affrontare in tanti modi, il migliore dei quali è accettare l’incertezza: avere una flessibilità adattiva e cercare di tirar fuori qualcosa di positivo anche dalle situazioni negative.
Ok. cosa potevo trarne io? Come prima cosa, ho svincolato la felicità dai desideri. E poi ho capito che è una specie di “condizione dell’anima”, un modo di vivere e vedere la vita, non qualcosa che si raggiunge ad un certo punto, dopo aver realizzato qualcosa.
Va bene avere dei desideri da realizzare, mettere delle azioni in tal senso, guardarsi dentro e chiedersi cosa rappresenta davvero quell’obiettivo per noi e cosa possiamo fare per gestire eventuali feedback negativi ‘dall’universo’ (quando sembra che quella cosa proprio non si realizzerà).
Ma la felicità, forse, è lo stato d’animo che sperimentiamo a prescindere da ciò che va e ciò che non va. È qualcosa che costruiamo giorno per giorno, un passo alla volta e cercando di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. O, come mi hanno fatto notare, cercando di dare il massimo con qualunque cosa ci ritroviamo nel bicchiere.
E questa scoperta non mi è parsa una cosetta da niente.
Bibliografia
Annamaria Testa, Il coltellino svizzero, Garzanti, Milano 2020
Ciao Simona
Anche a me accade di tuffarmi nelle cose banali di casa. A volte per evadere dal panico a volte per alleggerire le priorità (troppe volte per i miei gusti)… mi hai spirato… per ora ci devo mettere un gommone nel mio bicchiere d’acqua.
Ciao Maribel, bene. Sono felice di averti ispirato. Ed hai fatto un fantastico scatto. Nel bicchiere della nostra vita non c’è solo ciò che ci troviamo, ma anche ciò che ci mettiamo noi. E se adesso vuoi metterci dentro un bel gommone… Ok, va bene così! Un abbraccio