Gli ultimi mesi, citando un film a me caro, sono stati prodighi di emozioni.

Finora ho sempre lavorato molto ‘da sola’ e più di 6 mesi fa ho iniziato una collaborazione con una società di consulenza (https://www.bottegafilosofica.net/ ). Mi piaceva la filosofia che respiravo in quella società, volevo far parte di quel team e decisamente volevo sfidarmi su qualcosa di nuovo, quindi quando mi è stato chiesto se ero disponibile per dei moduli di formazione fuori Roma, ho detto subito di sì, senza pensare, perché se avessi pensato sarebbe salita un po’ di fifa e avrei detto di no.

I moduli di formazione sarebbero stati a Bolzano, a 650km da casa, ed io non mi spostavo per lavoro dalla provincia di Roma da prima di avere mio figlio che adesso sta finendo la terza elementare… Ho detto di sì e già tornando a casa ero in modalità “mamma mia, ma come m’è venuto in mente?!”. Sono passati un po’ di mesi ed una parte di me era disperata: sotto sotto pregavo che la cosa non andasse in porto, che nonostante tutto tra me e l’Alto Adige restassero tutti quei km…io sarei anche andata, ma ops… purtroppo i corsi non erano partiti. Un’altra parte di me, invece, era contenta all’idea di passare giornate intere lontana da casa e sperimentarmi di nuovo in modalità solo professionale, togliendo momentaneamente i ruoli operativi di moglie e mamma.

Beh, i corsi sono stati posticipati di un paio di mesi, ma alla fine è arrivato il momento di partire.

Tralascio il pathos della mattina della partenza per decenza, posso solo dire che quando ho salutato marito e figlio e mi sono avviata da sola verso il treno…mi sono sentita leggera, come se un orologio dentro di me fosse tornato indietro nel tempo, a quando partivo senza grandi remore e senza nessuno che attendesse il mio ritorno a casa.

In tutto ciò, alla mia lontananza fisica da casa si è unita un’altra dinamica inerente Bolzano, sempre su questo tema. In un corso di formazione mi sono occupata dell’orientamento professionale delle partecipanti.

Appena mi hanno visto, ognuna in modo individuale, ho percepito una specie di barriera. “Perchè sono qui? Perché devo parlare con una psicologa? Non c’è nulla che non vada in me”. Non per tutte, per carità, ma per 2/3 di loro è andata così. All’inizio sembravano sedute su sedie di spine e attendevano che quell’ora passasse il più rapidamente possibile. Alcune guardavano costantemente altrove, altre mi dicevano che quel colloquio per loro era inutile, altre ancora apparentemente non la smettevano di parlare-parlare-parlare ma avevo la netta sensazione che non mi stessero raccontando nulla di sé: quelle parole avevano solo la funzione di riempire lo spazio (ed il tempo) tra me e loro, mettendo una barriera. Un muro di parole.

Le distanze relazionali, inutile dirlo, sono il mio pane quotidiano. Sono croce e delizia nelle relazioni umane e tra un avvicinamento ed un allontanamento formano la coreografia di una danza. E in questo tanto girare e volteggiare, tra tanti vai e vieni, l’obiettivo è trovare la posizione in cui non ci si sente né lasciati soli, né invasi. Facile, no? No. Per niente. Ognuno può avere i suoi motivi per avvicinarsi e allontanarsi, e non è una questione che si risolve col metro come per le file al supermercato ai tempi del Coronavirus.

E’ un continuo prendere le distanze tra sé e gli altri (o tra sé e un’altra persona in particolare, soprattutto se questa è legata a particolari emozioni vissute come non lecite) per capire quando e se ci si può sentire ok. Ma soprattutto può esserci un prendere le distanze tra sé e i propri stati interiori, che possono essere vissuti come dolorosi o fonti di conflitto:“…che faccio? Prendo consapevolezza di questa cosa o faccio finta di niente? Provo ad allontanarmi…se sono lontano non vedo, è un po’ come non sentire, e se non sento non c’è nulla di sbagliato in ciò che faccio, ciò che sono, ciò che sento”.

Perché facciamo così? Per proteggere la nostra identità, quando percepiamo che alcuni suoi aspetti ci potrebbero rendere fragili. Perché abbiamo paura del contatto (anche metaforico) con l’altro, abbiamo paura di non riuscire a gestire l’essere toccati emotivamente, più che fisicamente. Abbiamo paura che gli altri abbiamo su di noi aspettative irrealizzabili, o che gli altri deludano le nostre. Abbiamo paura del giudizio – nostro e altrui – e , dell’idea che ci facciamo sulle conseguenze nella riduzione o nell’aumento di questa distanza.

E la danza tra avvicinamenti e allontanamenti serve per gestire tutta questa paura, questo bisogno di essere in relazione… ma non troppo, quanto basta.

Ovviamente sono abituata a gestire il disagio delle persone che mi parlano per la prima volta a livello professionale. Ho accettato questo loro atteggiamento e cercato di metterle il più possibile a loro agio, rassicurandole sulla natura dei nostri rapporti e mostrando loro che ero (sono 😉 ) una persona normalissima.

Ho avuto puro entusiasmo nel conoscerle e raccontato simpaticamente la mia difficoltà nell’esser lì in quel momento, così lontana da casa e dai miei affetti. E credo che questo abbia funzionato nel ridurre le distanze: si sono aperte, consentendomi di conoscere le loro storie e capire quali fossero i loro punti di forza…e spesso la fine dell’ora è giunta quasi a tradimento.

I frutti di questa mia riduzione delle distanze li ho trovati 2 settimane fa, quando abbiamo avuto il secondo giro di incontri, questa volta via internet visto che non possiamo ancora re-incontrarci di persona spostandoci tra regioni. Il cambiamento mi ha stupito. Siamo passate da “Ma dobbiamo proprio vederci?” adAspettavo questo appuntamento, ne avremo tanti altri, vero?”.

E’ stato lì che ho capito che avevo ridotto le distanze… raccontando della MIA distanza temporanea rispetto alla mia famiglia (ho anche aggiunto che ogni tanto non occuparmi di alcune incombenze poteva essere mooooolto interessante ;-P ).

Ma torniamo a noi e al mio viaggio verso l’ignoto e profondo nord. Solo alla seconda partenza sono riuscita ad arrivare fino a Bolzano ed ho scoperto che andare è stata un’ottima scelta. Ho conosciuto delle belle persone, la cittadina è molto carina e sono riuscita a portare avanti il mio lavoro senza problemi. Ma soprattutto ho scoperto che ce la potevo fare, anche non proprio dietro l’angolo e non supportata dall’idea di tornare a casa a fine giornata.

…quindi se la vita ci offre musica, è il caso di danzare. Potrebbe essere davvero bello!