Le feste in famiglia, se non emergono grandi problemi, creano risorse profonde dentro i bambini. In queste ricorrenze si può sperimentare un grande calore che in seguito verrà associato in futuro allo stesso periodo o a situazioni simili. L’essere umano prova angoscia al pensiero di essere abbandonato, soprattutto da piccolo. Vedere riuniti familiari ed amici dà una bella sensazione al bambino: se dovesse accadere qualcosa ai genitori, c’è lì qualcuno che potrebbe accoglierlo e prendersi cura di lui. E questa sensazione, soprattutto se l’esperienza si ripeterà, andrà a formare un nucleo di fiducia all’interno del bambino che lo aiuterà una volta divenuto adulto.

Stefi Pedersen, una psicoanalista, nella Seconda Guerra Mondiale condusse dei bambini ebrei in una traversata delle alpi che separano la Norvegia dalla Svezia, in inverno, per salvarli dalla deportazione. Una situazione non facile. I bambini erano arrivati in Norvegia da altre zone dell’Europa, erano profughi, quindi sapevano già come comportarsi e cosa fare: portare soltanto l’essenziale, uno zaino col cibo necessario per arrivare fino a destinazione e per vestiti solo quelli che indossavano.
Arrivati in Svezia, la Pedersen notò una cosa singolare: in fondo agli zaini, ormai vuoti, ognuno aveva qualcos’altro. Non erano oggetti preziosi, erano semplici decorazioni dell’albero di Natale, alcune fatte di cartone e stagnola (erano ebrei non praticanti, Natale per loro era una festa della famiglia, senza implicazioni religiose).
Possibile che bambini già abituati a lasciare tante cose dietro di sé, per dare la precedenza all’essenziale, avessero scelto di portarsi dietro oggetti simili? Sì. Quegli oggetti parlavano loro di momenti in cui si erano sentiti felici e al sicuro, erano la rappresentazione dei momenti buoni della vita, e davano loro la speranza che altrove, pur non sapendo ancora dove, avrebbero avuto altri alberi di Natale ad attenderli, altri momenti buoni. Erano ricordi che li avrebbero aiutati ad attraversare le avversità della vita con fiducia.

Ovviamente, è altrettanto vero il contrario: se in queste occasioni sono state sperimentate perdita, solitudine o frustrazione, sarà più probabile che da adulti si assoceranno queste ricorrenze a malinconia ed angoscia, una sorta di “depressione da evento” che riporterà a galla antiche ferite. E tornerà la paura di essere presenze non gradite.

Adesso veniamo a noi. Siamo adulti. Comunque siano stati i nostri Natali passati, siamo sopravvissuti abbastanza bene, almeno fisicamente, e siamo lontani da guerre. Cosa dovrebbe preoccuparci in questo periodo? Nulla, a parte le vacanze in cui affrontare clan familiari con cui non a caso di solito non interagiamo.
Cosa si può fare? Si parte per un paese lontano o si simula un malore? La fuga è sempre una soluzione, ma a lungo andare può essere stancante. Qualora si scelga di non fuggire, ecco alcuni spunti di riflessione o dritte per arrivare meno ammaccati possibile fino all’Epifania:

  • Ascoltarsi bene per capire cosa si vuole, e, qualunque strategia si scelga di portare avanti, capire perchè e per chi lo si fa. Con una maggiore consapevolezza, le situazioni si affrontano in modo diverso: si sceglie in modo attivo e non si subisce ciò che ci accade.
  • Ricordare che anche se i nostri parenti più o meno acquisiti non hanno modi che si sposano alla perfezione con il nostro sentire… quello è il loro modo di fare consueto, e non qualcosa di dedicato a noi. Noi inciampiamo in ciò che per loro è un normale modo porsi all’altro.
  • Giocare d’anticipo con ironia: all’inizio del pranzo/cena si può prendere la parola per dire “Quest’anno sono ancora single, no, non cè nessun bambino in arrivo, la mia carriera è ancora ben lontana dall’esser definita brillante, vivo ancora nella casa dell’anno scorso, e come tutti possono notare non ho fatto alcuna dieta dimagrante. Quindi attenzione perché potreste dirmi le stesse cose dell’anno scorso (e come l’anno scorso non ascolterei i vostri mille consigli)”. Per agevolare gli scambi, potete suggerire eventi o situazioni nuove su cui potreste dilungarvi piacevolmente con racconti epici.
  • Se proprio critiche ed interrogatori si fanno pressanti e non avete giocato d’anticipo, potete sempre:
    elargire sguardi eloquenti;
    – spiegare tranquillamente ciò che si prova e che può essere frustrante subire un interrogatorio su alcuni aspetti della propria vita;
    convogliare l’attenzione su qualcos’altro di interessante che vi è accaduto;
    – coinvolgere nella conversazione qualcuno che possa spalleggiarvi (questo essere umano c’è sempre da qualche parte)
  • Per arrivare in fondo alle giornate (nel caso si sia lontani da casa propria e non ci sia la possibilità di afferrare la valigia dopo il pasto pantagruelico) ci si può (deve) distrarre con boccate d’ossigeno più o meno metaforico:
    – fare telefonate agli amici per commentare e sdrammatizzare il mal comune dei clan familiari;
    – ritagliarsi del tempo per sé per andare in giro e chiacchierare con gente amica

Voi cosa farete? Come andranno le vacanze?
Io, intanto, sul mio albero di Natale ho già puntato una renna dipinta dalla inconfondibile mano espressionista di mio figlio. La metterò in valigia come buon auspicio sugli incontri, sull’autenticità nei rapporti umani e sulla buona digestione di tutto ciò che mangerò.

Bibliografia:
Bruno Bettelheim, Un genitore quasi perfetto, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1987.