Capita a tutti. Prima o poi arriva una situazione che ci mette di fronte a qualcosa di inatteso e stressante e la voglia di sedersi e di non fare nulla ci assale prepotente.
Quest’anno io, mio marito, mio figlio e le nostre due gatte… abbiamo cambiato casa. Dramma.
Avremmo voluto restare, ma proprio non era possibile, e gli step attraverso cui passare non sono stati facili: la ricerca della casa (in quale quartiere? con quali caratteristiche? cosa possiamo permetterci?), del mutuo (con quale banca? quale tasso?) , il trasloco (preventivi e cosa ci portiamo? cosa ci lasciamo indietro? cosa vorremmo portare a casa nuova, ma non avremo lo spazio?)… All’inizio c’erano solo la rabbia e l’impotenza di non poter restare a casa vecchia, e la tendenza a rilevare solo ciò che non andava in quelle che andavamo a vedere. Insomma. Mi ero seduta e guardavo il mondo che mi faceva il dispetto, l’oltraggio, di tutta quella situazione faticosa e ingarbugliata.
Perché in quella casa c’è stato tanto investimento emotivo?
Quella antecedente era decisamente piccola, poco luminosa e in un quartiere che non ho amato. Ed in quella che adesso dovevo lasciare ho cominciato a rivivere il piacere dell’ospitalità, dell’essere centrale ma non troppo, dell’uscire a fare due passi, e sono arrivate nell’ordine le gatte e mio figlio. Ho accumulato tanti ricordi piacevoli. E cambiare casa mi sembrava un cambiamento anche rispetto a quelle situazioni. Come se in un’altra casa non avessero potuto riaccadere cose belle.
Ma sono stata fortunata. La casa vecchia ha iniziato a congedarci con tutta una serie di piccole magagne che appesantivano ulteriormente la gestione del quotidiano. È stata una fortuna, perché ho iniziato a vedere il cambiamento in chiave positiva, come un miglioramento della nostra condizione, piuttosto che come un ostacolo alla nostra serenità.
Ho effettuato quello che in terapia sarebbe stata definita una ‘ristrutturazione’. In quel contesto sarebbe stato il terapeuta a farmi prendere in considerazione una prospettiva diversa e più costruttiva, in questo caso è stata solo una concatenazione (s)fortunata di eventi. Detta così sembra una cosa semplice: hai un problema, e un terapeuta apparentemente pieno di umorismo ti propone di vedere le cose in modo rovesciato: “è un’occasione!”… quante volte, nel dirlo, ho letto sui miei pazienti un’espressione perplessa.
Eppure vedere le cose in una nuova prospettiva offre tanto di più. Offre l’energia e la voglia di mettersi in gioco, invece di subire passivamente gli eventi. Permette di pensare in un modo diverso e, perché no, trovare nuovi stati d’animo e soluzioni prima neanche sospettate.
Mettiamoci una lente d’ingrandimento, su questo, perché è importante: cosa accade quando si costruisce, destruttura e ricostruisce un pensiero, una prospettiva? Come altre volte mi affido all’etimologia.
Costruire significa mettere insieme, assemblare diversi elementi in modo da dar loro un certo senso. Positivo o Negativo. E qui occorre far attenzione, perché anche voler restare per forza attaccati a qualcosa di vissuto come positivo, può creare problemi. Siamo in continuo divenire, e non ci si può fermare quando la vita ci dice che dobbiamo muoverci. Quel nostro fermarci è deleterio. È restare attaccati al passato e perdersi le opportunità che ci riservano il presente ed il futuro.
Vediamo il passo successivo. Destrutturare non vuol dire distruggere, ma smontare, scomporre la configurazione esistita fino a quel momento ed isolarne i vari elementi. Solo così possiamo valutare quali di quegli elementi è giusto, opportuno, tenere ancora nella propria vita, e quali mettere da parte, perché non ci servono più e ci impediscono di crescere ulteriormente.
Infine, ristrutturare, in quest’ottica, vuol dire creare un nuovo ordine con gli elementi (vecchi e nuovi) che abbiamo in mano, dar loro un nuovo significato che ci permette di rimetterci in gioco (quando il circolo è gestito in modo virtuoso).
“La ristrutturazione non cambia i fatti concreti ma il significato che il soggetto attribuisce alla situazione – o per dirla con i termini che Epitteto usò fin dal primo secolo d. C. : ‘Non sono le cose in se stesse a preoccuparci, ma le opinioni che ci facciamo di esse’.”*
Nel mio caso, abbiamo trovato una casa simile alla vecchia nella configurazione delle stanze, siamo rimasti nello stesso quartiere, ci siamo avvicinati alla scuola di mio figlio ed al parco, abbiamo guadagnato una splendida vista sugli alberi, il cielo stellato di notte e le cicale nel sottofondo dei pranzi estivi. E scusate se è poco.
*P. Watzlawick, J. H. Weakland, R. Fish, Change, Editrice Astrolabio, 1974