La settimana scorsa sono andata ad un barbecue con la mia famiglia. Eravamo in un giardino privato e varie persone erano addette ai ‘fuochi’ quando mio figlio ha puntato gli arrosticini. A lui piacciono tanto e ne voleva, ma erano ancora crudi e toccava aspettare. Intanto la persona addetta agli arrosticini ha iniziato ad interagire con noi, per spiegare la cottura ed aiutare il bambino a portar pazienza. Mi ha fatto una bella impressione e in seguito ho interagito con lui altre volte, mentre continuava a controllare che non bruciassero, fermo, in piedi e appoggiato a qualcosa.
Solo verso la terza volta che mi sono ritrovata lì a parlarci ho scoperto che…mancava qualcosa: in seguito ad un incidente ha perso una gamba.
Sono rimasta un bel po’ turbata. Non per il fatto in sé, ma perché per la prima mezz’ora non mi sono minimamente resa conto di questa cosa, che non era affatto nascosta. A volte posso essere un po’ stordita, ma possibile che non abbia notato una cosa simile?
E’ possibile: la percezione non è un semplice processo a senso unico. Qualcosa arriva sui nostri organi di senso, integriamo interiormente le varie informazioni ed abbiamo una riproduzione interna, oggettiva, di ciò che c’è davanti a noi. No non funziona così. Non è così semplice.
Korzybski avrebbe detto che la mappa non è il territorio. In base a ciò che orienta la nostra attenzione, delle cose saranno messe in evidenza ed altre tenderanno a cadere in una sorta di zona cieca, spariscono, perchè non fanno parte del quadro che ci siamo appena costruiti della situazione. Partecipiamo attivamente, ma inconsapevolmente, alla costruzione dell’immagine interna (quella che viene riprodotta dentro la nostra mente) di ciò che abbiamo davanti.
Cosa è successo nel mio caso? Non mi sono limitata ad osservare ma, come fanno tutti, tutti i giorni, qualcosa dentro di me ha osservato me che interagivo con qualcosa – qualcuno – di esterno, e traeva le sue conclusioni.
Ok, mi sono detta, ma possibile che sia tutta farina del mio sacco? E continuavo a non mettere a fuoco qualcosa…l’esterno! Ecco cosa avevo lasciato fuori! Non ho interagito con un albero, ma con un altro essere umano, che in qualche modo può aver contribuito alla mia percezione…diciamo parziale.
Presa dal dubbio, l’ho contattato e gli ho chiesto se gli fosse già capitato che altre persone “non avessero visto” la sua disabilità. Matteo (Cavagnini www.facebook.com/matteofive) mi ha risposto in modo molto semplice.
Lui è il capitano della squadra di basket paralimpica italiana (Santa Lucia Basket www.santaluciabasket.org) ed ha imparato a venire a patti con la sua disabilità. L’ha accettata. E la sua accettazione è tale che effettivamente altre volte è capitato che delle persone non abbiano notato nulla e/o abbiano dato per scontato che lui fosse fisicamente normodotato.
Ripensando a me, a ciò che mi è arrivato all’inizio, ho capito che ho avuto l’immagine di un uomo tranquillo, rilassato e sicuro di sé. Era appoggiato ad una stampella, ma con la stessa postura di una persona qualunque col gomito sul bancone di un bar. Nulla in me ha fatto scattare un “ti aiuto, faccio io” come altre volte, in altri contesti e con altre persone.
La percezione può essere influenzata anche dalle esperienze passate (eh, il discorso si fa apparentemente sempre più complicato)…se un certo tipo di contesto non si riproduce, non vedo certe cose tipiche di quel quadro. In questo caso non ho avuto la percezione di qualcuno che avesse bisogno di essere aiutato e si può dire che la mia testa si è subito settata sull’immagine di una persona normodotata.
Non ho visto qualcosa che per lui non è più un problema. E mi ha raccontato che è fondamentale, questa accettazione. Prima arriva, nei nuovi casi (persone che hanno appena subito una perdita analoga), e meglio è. Non si tratta di abbattersi passivamente perché certe cose non si potranno più fare, ma di capire che la propria vita ha ancora tante risorse da mettere in gioco. Si chiudono delle alternative, ma se ne aprono altre e si scoprono capacità inaspettate che altrimenti sarebbero rimaste inutilizzate. La vita non è data semplicemente da ciò che ci capita – spesso tra capo e collo – ma da come reagiamo, da che senso diamo a ciò che ci capita. Questo determinerà come sarà la nostra vita e cosa vi metteremo dentro.
Tornando al discorso sul come percepiamo ciò che ci circonda, la nostra vita è una mappa che possiamo costruire ogni giorno, non semplicemente il territorio che troviamo già pronto. E in base a come costruiamo questa mappa, avremo infiniti percorsi per esplorare e vivere nel mondo.
Grazie Matteo. E Forza Santa Lucia Basket! 😉
Bibliografia
Bateson G., Mente e natura, Adelphi Edizioni, Milano, 1984
Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi Edizioni, Milano, 1976
Malagoli Togliatti M. Telfener U. (a cura di), Dall’individuo al sistema, Bollati Boringhieri editore, Torino 1991
Ruggieri V., L’esperienza estetica, Armando Editore, Roma 1997
Salve, lo splendido argomento che ha posto alla nostra, mia sicuro, è molto interessante. Penso che se ne dovrebbe parlare a voce perché le accezioni andrebbero affrontate face to face. Ad esempio,perché, diciamo 10 persone che si affacciano ad una finestra vedono 10 panorami diversi? Guardano quello che è reale o quello che vorrebbero vedere senza, forse, neanche sapere cosa vorrebbero vedere. Avremo modo.
Effettivamente ha colto il punto con l’esempio dei panorami. Ognuno, senza esserne consapevole, si concentra su qualcosa di diverso, che in qualche modo parla di ciò che sta cercando (la sua mapppa, non il territorio). Grazie!
Salve, non mi è sfuggito un dettaglio da nulla, per questo sono rimasta turbata e ho deciso di approfondire. Sono stata io stessa a segnalarlo nell’articolo. Ma noi possiamo decidere che senso dare alle situazioni: un fallimento da nascondere sotto il tappeto o un’occasione per approfondire qualcosa su sé, sugli altri e sul nostro modo di approcciarci alla realtà che ci circonda. In questo sta la vera differenza nel nostro approccio alle cose. Grazie