Quando mi sento felice, perché ho avuto una bella giornata e le cose si sono incastrate tutte bene, qualcosa dentro di me comincia a canticchiare una canzone: My favourite things. E’ un po’ la mia muta e personale colona sonora delle giornate andate bene.
Spesso si pensa “se questa cosa cambiasse…se quella persona fosse qui…se ottenessi il lavoro che dico io…sarei felice”. Mah. Realizzare un desiderio è sempre bello, ma poi magari ci si rende conto che manca ancora qualcos’altro, che forse non siamo all’altezza della nuova situazione e allora? E allora si ricomincia da capo.
La scorsa estate, nonostante gli incastri della vita non fossero propizi, mi sono iscritta ad un corso di restauro libri. Quel corso mi ha reso felice? Sì, ma non perché il corso fosse una panacea (a me è piaciuto tanto, ma non siamo fatti con lo stampino), semplicemente perché ad un certo punto ho dato uno strattone e mi sono ricavata (sostenuta da mio marito) uno spazio mio, solo mio. In cui non ero la psicoterapeuta, la mamma, la moglie, la figlia o quella che deve correre a destra e manca per mettere le toppe. Ero io soltanto a “giocare” con carta, colla e attrezzi quasi alchemici.
Tutto ciò mi ha reso felice, davvero? No, però mi ha alleggerito.
E mi ha fatto venir voglia di approfondire questo stato d’animo.
Cercando qua e là, mi sono imbattuta in un libro che già avevo in casa. Un libro semplice, chiaro, ironico. In una parola Fantastico. In cui si parla di…tutto ciò che sarebbe meglio fare per essere infelici.
E lì ho capito una volta di più che essere felici non è un momento, ma un processo. Non è il risultato, ma ciò che faccio per arrivarci e come. Non è il corso di restauro libri, ma io che do uno strattone e mi ritaglio uno spazio solo mio con la complicità di mio marito e mio figlio che dice orgoglioso agli amichetti che io “aggiusto libri”.
Le persone che vanno in terapia, tendenzialmente alla fine del percorso (se arrivano fino alla fine) stanno meglio. Perché qualcosa si è acceso all’improvviso dentro di loro? Anche. Perché a volte ci sono insight stravolgenti. Ma soprattutto perché hanno deciso di prendere in mano la loro vita e farci qualcosa di costruttivo. Senza quel qualcosa di preparatorio, neanche il migliore insight del mondo troverebbe un varco da cui offrire uno spiraglio di luce.
Nel libro trovato in casa si approfondiscono vari aspetti. Qui mi concentrerò solo su un aspetto: il tempo e come lo usiamo.
Spesso noi vediamo il passato come unico momento aulico e degno di nota della nostra vita. Non conta ciò che è accaduto in realtà. Il passato è sempre migliore del presente, a prescindere. Ci focalizziamo su ciò che andava bene e il presente non sarà maaai alla sua altezza.
La conseguenza dell’essere rivolti al passato, è che non ci restano né tempo né risorse per ciò che occorre fare adesso, nel presente. Siamo troppo occupati dalle recriminazioni e dalla lamentela per ciò che, secondo noi, abbiamo perso, da non pensare a ciò che abbiamo e potrebbe portarci altra felicità. E’ un po’ come camminare guardando indietro. Si va più piano ed è inevitabile trovare degli inciampi.
Me ed il corso di restauro libri: una volta avevo taaaaanto tempo libero, avrei potuto farlo prima il corso, e adesso sarei stata l’essere più felice dell’universo. Come direbbe mio figlio….Macchè?! Ero sempre presa da seminari, corsi, lavoro, su cui si intersecavano dilemmi esistenziali… non proprio una pacchia. Infatti quest’estate mi sono fermata e detta “non è vero che prima avrei avuto il tempo, il tempo, se davvero voglio farlo, posso trovarlo, ora, non importa come!” e così è stato.
Un’altra cosa che non facciamo per essere felici, senza rendercene conto, è non accettare tranquillamente ciò che ci offre la vita adesso, nel presente. E’ una cosa un po’ strana, prima volevamo qualcosa, quando quel qualcosa arriva…ecco che non lo vogliamo più, quasi che la nostra vita non sia più compatibile con la soddisfazione di quel bisogno o desiderio. E’ capitato anche a me. “Ormai ho più di 40 anni, ma dove vado? Ho già un lavoro, che mi metto a fare?”…per fortuna avevo davvero dei libri da rimettere in sesto e la mia soddisfazione nel presente ci sarebbe stata comunque.
L’ultima situazione legata al tempo è…che solo perché in passato una soluzione è stata valida, non è detto che lo sarà anche adesso o in futuro. Qui l’autore del libro, Paul Watzlawick, racconta una storia molto simpatica che vorrei riproporre.
C’è un ubriaco che perde le chiavi casa. Le cerca e arriva un’altra persona che comincia ad aiutarlo. Mentre girano sotto un lampione da diverso tempo, il secondo arrivato gli chiede se sia sicuro di averle perse lì, sotto il lampione. L’ubriaco lo guarda e fa “No, le ho perse dietro un cespuglio, ma lì è buio pesto, meglio cercare qui che c’è più luce.”
La storia è simpatica e il protagonista è ubriaco, quindi non nel pieno possesso delle sue capacità mentali. Ci viene da dire “Eh, ma io non sono mai andato a cercare sotto un lampione ciò che sapevo essere dietro un cespuglio.”
Già. Ma quante volte abbiamo pensato che la nostra felicità fosse in un incarico di lavoro specifico, una relazione sentimentale con un partner in particolare o in qualcos’altro e una volta ottenuto….ci siamo accorti che non eravamo felici manco per idea?
Io, intanto, che fine ho fatto?
Ho finito il mio corso, restaurato un libro con grandi soddisfazioni, non sono diventata una restauratrice, ma…ho imparato qualcosa di nuovo, di pratico e su me stessa. Ho imparato a zittire quella vocina maligna che mi dice che non posso, non è il caso e “ma dove vado?”
Non ho raggiunto nessun livello di non ritorno sulla mia strada verso la felicità, ma certamente ho imparato qualcosa che mi aiuterà ad avvicinarmici un po’ di più di ieri… perché ieri, a dispetto delle mie false illusioni, certamente non ero più felice di oggi.
BIBLIOGRAFIA
Paul Watzlawick Istruzioni per rendersi infelici, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1984